immersioni

What’s in a name – Le scrittrici e i loro pseudonimi. Jane Austen e le sorelle Brontë: Ballo in maschera nell’Inghilterra vittoriana

A partire dal 1811, anno dell’esordio con Ragione e sentimento, Jane Austen firma tutti i suoi romanzi semplicemente “A Lady”. Solo dopo la sua morte, avvenuta nel 1817 in circostanze ancora poco chiare, il fratello pubblica due opere inedite – L’abbazia di Northanger e Persuasione – accompagnate da una nota introduttiva che svela al grande pubblico l’identità dell’autrice, associandola anche ai romanzi usciti in precedenza. Il suo nome era in realtà divenuto di dominio pubblico, per lo meno nell’ambiente letterario, già diversi anni prima, come sottolinea lei stessa in una lettera indirizzata al fratello: “La verità è che il segreto si è talmente diffuso che ormai è a malapena l’ombra di un segreto – e quando uscirà il terzo, non ci proverò nemmeno a dire bugie”.1 Sembra che la scelta dell’anonimato nel caso della Austen non dipenda dal bisogno di preservare la rispettabilità del nome di famiglia – il padre e i fratelli anzi caldeggiano la sua attività di scrittrice – né che la sua maggiore preoccupazione sia quella di evitare i pregiudizi sulla qualità delle opere scritte da donne. I suoi libri, infatti, ottengono da subito un discreto successo, tanto che il principe reggente chiede, e ottiene, che Emma gli venga dedicato. La decisione di non rendere pubblico il proprio nome potrebbe quindi essere legata a un’esigenza artistica: evitare che i romanzi vengano letti come il frutto di un’esperienza privata, ma piuttosto come espressione di un intero sistema culturale e sociale. Questa l’ipotesi avanzata da Elena Ferrante in un articolo pubblicato sul “guardian”: “Non usa né il suo vero nome né quello che si è scelta. Le sue storie non sono riducibili a lei; piuttosto, vengono da una tradizione che la imprigiona e allo stesso tempo le permette di esprimersi”.2
La Austen, al di là del suo personale successo, non ignora la ristrettezza dell’orizzonte intellettuale in cui sono costrette a esprimersi le donne del suo tempo; le parole pronunciate dalla protagonista di Persuasione si possono leggere come una dichiarazione dell’autrice stessa: “Gli uomini hanno sempre avuto molto più di noi: la possibilità di narrare la loro storia. L’istruzione è sempre stata loro appannaggio a un livello superiore. La penna è in mani maschili”.

Nel 1847, al momento di pubblicare il primo romanzo, anche Charlotte Brontë si mostra sensibile alla questione, tanto più che esattamente dieci anni prima era stata redarguita con parole piuttosto dure da Robert Southey, poeta laureato cui aveva inviato alcune delle sue composizioni: “La letteratura non può essere affare della vita di una donna, e non dovrebbe esserlo”.3 La reazione della Brontë, venata di amara ironia, lascia presagire la sua intenzione di perseverare, seppur salvando le apparenze: “La sera, lo confesso, mi fermo a pensare, ma non preoccupo nessun altro con i miei pensieri… Mi riprometto di non avere mai più l’ambizione di vedere il mio nome in stampa; se il desiderio dovesse emergere, guarderò la lettera di Southey e lo sopprimerò”.4
Per le Brontë, diversamente dalla Austen, lo pseudonimo è molto più che un gioco letterario. Le sorelle, che fin da piccole trovano nella creatività un rifugio alla desolazione della brughiera, compongono versi ognuna per conto proprio, di nascosto dalle altre e, soprattutto, dal padre. Quando Charlotte scopre le poesie di Emily e di Anne, le convince a pubblicarle. Le sorelle decidono però di mantenere segreta la loro identità: “Contrarie a esporci personalmente, nascondemmo i nostri nomi sotto gli pseudonimi di Currer, Ellis e Acton Bell: la scelta ambigua fu dettata da uno scrupolo ad assumere nomi inequivocabilmente maschili, pur non amando dichiarare il nostro sesso perché, anche se allora non sapevamo che il nostro modo di pensare e di scrivere era ben lontano da quello femminile, avevamo la vaga impressione che alle autrici si guardasse con pregiudizio: avevamo notato che la critica usa, per condannarle, l’arma della personalità e, per lodarle, una lusinga che non è vero apprezzamento”.5
È così che nel 1846 Charlotte, Emily e Anne Brontë pubblicano una raccolta di poesie firmata Currer, Ellis e Acton Bell.
La raccolta vende solo due copie, ma le Brontë non si scoraggiano.
Nell’agosto del 1847 Charlotte invia a un editore londinese il manoscritto di Jane Eyre, anche questa volta firmandosi Currer Bell. Il romanzo in pochi mesi diventa un bestseller e l’improvvisa popolarità di Currer Bell fa da apripista alla pubblicazione di Cime tempestose di Ellis Bell e Agnes Grey di Acton Bell.
La vera identità dei signori Bell desta da subito molta curiosità nell’ambiente letterario londinese e le Brontë sono costrette a venire allo scoperto quando, poche settimane dopo l’uscita dei romanzi, un editore insinua pubblicamente che siano opera dello stesso scrittore. Charlotte e Emily decidono quindi di andare a Londra per parlare di persona con John Smith, il loro editore. Smith rimane incredulo quando Charlotte, una donna minuta e con i denti rovinati, gli rivela di essere l’autrice di Jane Eyre, ma deve cedere all’evidenza nel momento in cui lei gli mostra la lettera che lui stesso aveva spedito a Currer Bell.

Emily e Anne, scomparse rispettivamente nel 1848 e 1849, non fanno in tempo a vedere riconosciuti i propri meriti letterari; Charlotte è più fortunata, sopravvive fino al 1855, pubblica altri due romanzi – sempre firmati Currer Bell – e ha l’opportunità di conoscere alcuni degli scrittori più in vista dell’epoca. Ma non sarà mai a suo agio nei salotti della capitale, né d’altro canto verrà del tutto accettata dall’élite intellettuale inglese, così lontana dalla desolata brughiera in cui è cresciuta.
Emblematica è una lettera inviata da William Thackeray – scrittore al quale Charlotte aveva dedicato Jane Eyre – a un amico: “Ho incontrato quella povera donna di cui tutta Londra parla, l’autrice di Jane Eyre. È una piccola creatura dall’aspetto squallido. Credo che, al posto della fama, preferirebbe avere un uomo da amare. Ma è una personcina senza un grammo di fascino, che rimarrà sepolta in campagna a mangiarsi il cuore in attesa di qualcuno che non verrà”.

Introduzione a Mansfield Park
E. Ferrante, Elena Ferrante on Sense and Sensibility: I was passionate about Austen’s anonymity”, “the guardian”
3 Letter from Robert Southey to Charlotte Brontë, 12 March 1837
4 L. Gordon, Yours insincerely, Charlotte Brontë, “The Independent”
5 Dalla prefazione a Cime tempestose e a Agnes Grey

Sara Mellano

2 pensieri su “What’s in a name – Le scrittrici e i loro pseudonimi. Jane Austen e le sorelle Brontë: Ballo in maschera nell’Inghilterra vittoriana”

  1. Salve, ho trovato l’articolo molto interessante e utile. Se volessi approfondire l’argomento dell’anonimato e dello pseudonimo, in particolare di queste stesse autrici, dove potrei trovare del materiale utile?

    "Mi piace"

    1. Ciao Ludovica, ho curato questi piccoli articoli partendo da una rassegna stampa approfondita e da ricerca online. Ho anche trovato diversi punti nel saggio di Mario Baudino “Lei non sa chi sono io”, pubblicato da Bompiani. Comunque grazie per il commento 🙂
      Sara

      "Mi piace"

Lascia un commento