La donna che, stretta nel soprabito rosso, sale nervosamente le scale del grattacielo, rampa dopo rampa, sa che manca ormai poco all’incontro con l’uomo della sua vita, il futuro padre dei suoi figli. È perciò animata da una profonda speranza nell’avvenire e da un solletico d’ansia che le attraversa il corpo come una risata. Crede fermamente nel destino e, dopo trentacinque anni di carte astrali e adeguati influssi planetari, sente che oggi è il giorno.
Questa mattina, lette le previsioni per il segno della Vergine, la donna ha offerto un caffè al suo superiore e uno al suo diretto sottoposto, perché sul lavoro è consigliato sforzarsi per migliorare le relazioni verticali. Dentro la tasca destra stringe una moneta trovata in terra davanti al portone di casa: i pronostici sulla fortuna hanno visto giusto. Non ha preso l’ascensore per timore di un attacco di claustrofobia, dato che, per la salute, oggi è sconsigliato sfidare i pericoli noti. Quanto all’amore è sicura di avere ben interpretato le parole della rubrica, che ai superficiali possono sembrare metafore e iperboli e che invece parlano al suo cuore con la perizia di una prescrizione medica: c’è un solo locale panoramico in città, ed è lì che si sta recando. Ha accettato come una sfida, insolita e divertente, l’invito a non indossare nulla sotto il cappotto rosso.
Arrivata al trentesimo piano dalle scale antincendio la donna si ferma qualche momento a riprendere fiato e concentrazione. Le viene un dubbio: che tutto questo, tutta la sua fede nel destino, l’abbia condotta a un passo dal ridicolo? Si riscuote, decisa, e attraversa di slancio la porta, trovandosi sulla soglia del grande ristorante. Ed è allora che si avvede di una moltitudine di figure scarlatte, cremisi, corallo, carminio, ciliegia, amaranto, tutte donne e tutte vestite di rosso come lei, in cappotti corti sopra il ginocchio o lunghi fino alle caviglie, giacche, impermeabili, trench, pellicce sintetiche. Ai tavoli, al bancone, alle vetrate, in gruppi, in coppie, solitarie. La donna inorridisce, e vacilla.
Se qualcuno le contasse, scoprirebbe che le donne in rosso sono quarantotto. Vi sono anche alcune donne del Leone e alcune della Bilancia, nate cuspidi e dunque giustificate per aver scelto di seguire il segno con la previsione più allettante.
Ciascuna delle donne, stilando verosimili classifiche e calcolando rischiosi indici di probabilità, cerca di scoraggiare le altre, per ovvi motivi di concorrenza. Nessuna si lascia convincere ad abbandonare il luogo fatale. Del resto, l’astrologia non istituisce una comunità fraterna tra i nati dello stesso segno e alimenta invece uno spiccato individualismo.
Camerieri e baristi, unici uomini nel locale, ignorano le date di nascita delle presenti e, poiché nessuno di loro legge gli oroscopi e conosce la verità, hanno cominciato presto a darsi di gomito, scambiarsi battute e formulare ipotesi.
Dopo qualche incertezza alcune donne in rosso lanciano occhiate ora interrogative ora maliziose ai camerieri e le più assertive tentano già di avvicinarli e sedurli.
Chiacchiere, risa e sussurri si arrestano di colpo quando, in fondo all’ampio salone, fa il suo ingresso il proprietario del locale. Anche i gesti delle quarantotto donne in rosso restano sospesi e, nel silenzio in cui non tintinnano neanche le stoviglie, gli sguardi si concentrano su quell’uomo. È sua la scelta, ora, è sua la prossima mossa. L’uomo sorride.
Dall’altra parte della città, in uno dei ristoranti della stessa catena, siede l’uomo che scrive gli oroscopi. È un habitué: il suo tavolo è sempre quello dinanzi alla vetrata con vista sul molo turistico, il suo conto è pagato. All’estensore degli oroscopi piace molto contemplare da quel punto gli scafi degli yacht e le alberature delle barche a vela che ondeggiano, nella luce piena del mezzogiorno o nei riflessi dorati del tramonto. Prima di recarsi a cena, secondo gli accordi contrattuali, ha consegnato i dodici brevi testi per il giorno successivo. Il destino è già scritto: questa consapevolezza gli regala un’intima soddisfazione, un brivido di affinità con il divino che accresce il suo appetito. Mentre attende che il sommelier apra la bottiglia francese che ha ordinato, l’astrologo mette a fuoco un pensiero, che il destino non sia un’elezione e un compimento ma un inciampo, il boccone delizioso che resta nel gozzo e soffoca, uno scarto sorprendente in un processo di corruzione, come la colatura delle alici sotto sale. L’immagine gli strappa un sorriso, si ripropone di usarla alla prima occasione, e insieme gli suggerisce un ripensamento. Forse in quel che ha consegnato qualcosa potrebbe essere migliorato, un aggettivo sostituito, un divieto smussato in un suggerimento, l’influenza di un pianeta raffigurata in una luce differente. Ruotando il vino dentro il calice, si domanda se sia il caso di riscrivere tutto, da capo, e capovolgere ogni pronostico. Lui sa che, se volesse, potrebbe.
Roberto Galofaro
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