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Diario di uno scrittore. Il diario di Virginia Woolf: l’incontro con Freud

Diario di uno scrittore attraversa le pagine intime e personali di alcuni tra gli scrittori più noti e tormentati. Da sempre i grandi della letteratura hanno confidato segreti, paure e successi alle pagine di un diario, talvolta divenuti delle vere e proprie opere letterarie.

Virginia Woolf iniziò a tenere un diario nel 1915 e continuò a scriverlo fino al 1941, fino a quattro giorni prima della sua morte. Le annotazioni sono una documentazione di ciò che faceva, delle persone che vedeva, di ciò che pensava, di ciò che scriveva e leggeva, ma non solo. Il diario di Virginia Woolf è un diario estremamente personale, il diario di un’artista, un modo per parlare con se stessa di quello che stava scrivendo e di quello che avrebbe voluto scrivere. Leggere le pagine del suo diario è andare alla scoperta del processo psicologico che precede e accompagna la creazione artistica. Attraverso le sue parole è possibile osservare la scrittura nella sua fase embrionale, quando la scrittrice sente la spinta e la pressione dentro di lei.
Il diario è il luogo dell’anonimato, in cui la Woolf è semplicemente una donna, estremamente sensibile e con una personalità fatta di contrasti: nevrotica, timida, malata, ma anche vivace, intelligente, con un senso dell’umorismo sfrenato. La stessa donna che il 28 marzo del 1941 si riempì le tasche di sassi e si lasciò annegare nel fiume Ouse.
Dopo la morte della moglie fu Leonard Woolf a curare l’edizione del diario, eliminando le osservazioni più ironiche che avrebbero potuto ferire i diretti interessati e mettendo in luce tutti i dettagli di Virginia Woolf come persona e come scrittrice. Così offerto, il diario può essere letto come un vero e proprio studio di esplorazione dell’artista alle prese con la fama e con la sua personalità nell’incontro tra mondo esterno e mondo interno.
Nel Novecento lo studio della figura dell’artista assunse grande importanza. Freud stesso si interrogò sullo statuto dell’artista e sulla forma della creazione, elaborando una sua teoria che insisteva sulla presenza di uno strato personale e autobiografico presente in ogni processo creativo. La psicoanalisi cercò di portare alla luce le radici di quel processo. Virginia venne a contatto con Freud e con le sue teorie, senza però mai sottoporsi alla psicoanalisi. L’immaginazione della Woolf era così strettamente intrecciata alla sua follia che se qualcuno avesse fermato la follia avrebbe fermato probabilmente anche il flusso della sua creatività. Inoltre Virginia aveva visto gli effetti della psicoanalisi sul fratello più piccolo, Adrian. “Adrian è distrutto dalla psicoanalisi” scrive nel suo diario.
Virginia Woolf disprezza il determinismo psicologico di Freud, reputandolo riduttivo, ma non può fare a meno di accorgersi che il campo che indaga nella sua scrittura è lo stesso che indaga lui nei suoi studi. Riconosce di aver scritto molto velocemente To the Lightouse, ossessionata dall’immagine di sua madre: quando il racconto è finito, l’ossessione svanisce.

“Non sento più la sua voce; non la vedo… Immagino di aver fatto per me stessa quello che la psicoanalisi fa per i suoi pazienti. Ho espresso un’emozione molto profonda e molto intensa. Esprimendola l’ho lasciata andare, e ora sono libera.”

È evidente che, per quanto reticente e diffidente, la psicoanalisi di Freud lascia un’impronta anche su di lei.
Freud muore nell’agosto del 1939. Il 2 dicembre 1939 Virginia Woolf scrive sul suo diario:

“La scorsa sera ho iniziato a leggere Freud; per dare alla mia mente una visione più completa e allargata; per renderla oggettiva; per andare oltre.”

Figli del loro secolo, la Woolf e Freud inevitabilmente si incontrarono e scontrarono, ognuno con le proprie idee, ognuno con le proprie teorie. Quello che li accomunò fu l’interesse per quel grande labirinto che è la mente, studiato da Freud, vissuto in prima persona e trascritto nelle pagine del diario da Virginia Woolf.

Elena Votta

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