Nel luglio del 2013 il “Sunday Times” rivela che Robert Galbraith, autore del giallo Il richiamo del cuculo, è in realtà J.K. Rowling1. Robert Galbraith non è il primo nom de plume per Joanne Rowling, meglio conosciuta con le iniziali J.K., che non ha, stando al certificato di nascita, un secondo nome. L’uso delle iniziali è stato caldeggiato dall’editore: i giovani lettori non avrebbero seguito le avventure di Harry Potter con lo stesso trasporto se l’autrice fosse stata apertamente una donna. Rowling, ansiosa di vedere la saga pubblicata, afferma in un’intervista che avrebbe acconsentito a firmarsi “Enid Snodgrass” pur di far uscire il libro2.
È invece lei stessa, sedici anni dopo l’uscita di Harry Potter e la pietra filosofale, a decidere di pubblicare Il richiamo del cuculo con un nome fittizio, per poter tornare a scrivere senza il peso delle aspettative e ricevere feedback imparziali, dichiara una volta smascherata. La scelta di un nome maschile, apparentemente anacronistica, è in parte motivata dal curriculum che la Rowling fornisce al suo alter ego letterario (un militare implicato nella sicurezza nazionale), studiato per giustificare l’assenza di fotografie e apparizioni pubbliche.
L’inganno, seppure ben orchestrato, dura solo tre mesi. Alcuni sostengono che non si sia trattato di un’accidentale fuga di notizie ma di un’astuta trovata commerciale, ipotesi suffragata dall’impennata delle vendite successiva alla rivelazione (il libro viene ristampato in tutta fretta in 140.000 copie, quando fino a quel momento ne erano state vendute solo 1.500). Rowling si difende dalle insinuazioni, la scelta di uno pseudonimo maschile è stata dettata solo dalla volontà di allontanarsi il più possibile dal suo personaggio pubblico, se fosse stato per interessi finanziari, si sarebbe limitata a pubblicare a suo nome.
La vicenda, come prevedibile, crea imbarazzo nell’ambiente editoriale inglese, alcuni editor coraggiosi ammettono pubblicamente di aver bocciato il manoscritto perché piuttosto piatto, benché ben scritto. Rowling stessa pubblica sul suo account twitter alcune delle lettere di rifiuto, non tanto diverse da quelle ricevute a metà anni Novanta.
In una simile difficoltà si trovano gli editori nel 1987, quando Joyce Carol Oates tenta di pubblicare Lives of the Twins dietro pseudonimo e viene scoperta poco prima dell’uscita del libro. Anche in questo caso si tratta di un tentativo di dissociazione dalla propria persona pubblica. Il libro è un thriller psicologico e il nome in copertina è “Rosamond Smith”, una femminilizzazione di Raymond Smith, marito di Oates. L’autrice si dichiara delusa che la copertura letteraria sia saltata, è inoltre convinta che sia pratica comune per gli scrittori pubblicare storie di mistero sotto falso nome. Eppure il tentativo di anonimato lascia perplesse Blanche Gregory, sua agente da sempre, e soprattutto Nancy Nicholas, editor di Simon & Schuster, casa editrice che avrebbe pubblicato Lives of the Twins. “Non avevo idea che avrei pubblicato Joyce Carol Oates” dichiara Nicholas, genuinamente convinta di avere tra le mani il romanzo di un’esordiente. Simili rimostranze vengono da William Abrahms, della casa editrice Dutton, che aveva passato gli ultimi mesi a lavorare su You Must Remember This credendolo l’unico romanzo di Oates in uscita per quell’anno.
L’autrice assicura pubblicamente che non ricorrerà più a uno pseudonimo ma la promessa viene presto infranta: a partire dal 1987 pubblica ben otto romanzi come “Rosamond Smith” e tre a nome “Lauren Kelly”. In un’intervista rilasciata al “manifesto”, alla domanda sul suo rapporto con i due nom de plume, risponde che le piacerebbe continuare a pubblicare libri in questa forma, anche se ormai è sempre più difficile per un autore mantenere segreta la propria identità3.
Se l’editor di Simon & Schuster non sapeva di avere in pubblicazione il romanzo di un’autrice celebre, al contrario diversi editori britannici non hanno idea di aver appena bocciato due manoscritti di Doris Lessing quando all’inizio degli anni Ottanta inviano le loro lettere di rifiuto alla sconosciuta “Jane Somers”. È questo lo pseudonimo adottato da Lessing quando – dopo aver pubblicato più di venticinque romanzi ed essere stata una favorita per il Nobel – decide di inviare le sue ultime fatiche a varie case editrici. Lo scopo di questa operazione è dimostrare che gli editori, anziché valutare un’opera basandosi su parametri di qualità letteraria, tengano conto solo del nome dell’autore: “Volevo evidenziare quel tremendo meccanismo editoriale per cui niente ha successo come il successo”4 afferma in un’intervista.
I romanzi, intitolati The Diary of a Good Neighbour e If the Old Could (Il diario di Jane Somers e Se gioventù sapesse, nella versione italiana) vengono scartati, tra gli altri, da Jonathan Cape – editore storico di Lessing – perché poco commerciali e “troppo deprimenti”5 e sono infine pubblicati dalla casa editrice americana Knopf e promossi con poca convinzione. Le recensioni scarseggiano e vengono vendute circa 1.500 copie in Gran Bretagna e meno di 3.000 negli Stati Uniti – Il taccuino d’oro, pubblicato nel 1962, ne aveva vendute circa 900.000.
Doris Lessing vede confermata la sua teoria, la breve esperienza come Jane Somers mette in luce una pericolosa falla nel meccanismo editoriale e a farne le spese sono spesso talentuosi esordienti, mentre “viene dato troppo spazio a romanzi non molto buoni scritti da autori di fama consolidata”6.
1 R. Brooks e C. Flyn, The cuckoo in crime novel nest, “The Sunday Times”.
2 R. Savill, Harry Potter and the mystery of J.K.’s lost initial, “The Telegraph”.
3 C. Ricciardi, Omaggio e parodia per il genere horror, intervista a Joyce Carol Oates, “il manifesto”.
4 E. McDowell, Doris Lessing says she used pen name to show new writers difficulties, “The New York Times”.
5 Ibidem.
6 Ibidem.
Sara Mellano