C’è questo palazzo che sta su per quattro piani, come quasi tutti i palazzi del mio quartiere, che dista dal centro della città circa mezza consolare. Uno di quegli edifici sgraziati con i muri in quarzo color ocra che non fanno respirare l’edificio e infatti, pure se è estate, nell’androne c’è sempre lo stesso odore fermo e scuro che si sente nelle cantine. Per non parlare poi delle bolle di umidità che scoppiano sull’intonaco. È chiaro che il palazzo non respira. Il mio palazzo sta soffocando.
Per arrivare all’ultimo piano, dove vivo io, mi devo tappare il naso perché dall’interno 9 arriva un tanfo di gatto che ti si incolla ai vestiti. Però ci sto bene nel mio palazzo di quattro piani, mi sento a casa, e la distanza dal centro non è che mi pesi poi tanto, dopotutto è sempre la stessa.
Oggi è arrivato mio cugino con una faccia tutta nuova. Mamma e zia si sono sedute in cucina intorno al tavolo di fòrmica a parlare e a bere il caffè come ogni mercoledì mentre io e Massimiliano ci siamo chiusi in camera a guardare la tv. Poi come se nulla fosse mi butta lì la bomba:
“Ma lo sai che ho scopato?”.
“Ma che dici!”
Lo schermo è tutto sale e pepe e gracchia. La prima cosa a cui penso è che mio cugino ha un anno di meno e non può essere che lo abbia fatto prima di me. Siamo entrambi troppo giovani per questo.
“Insomma, ci siamo toccati parecchio, soprattutto lei a me.”
“Ah, quello non è scopare, al limite è fare l’amore.”
Provo una specie di sollievo per tutti e due.
Mi spiega che c’è questa ragazza non proprio bella con cui va spesso a fumare di nascosto al parco e che se glielo chiedi non ha problemi a toccarti, insomma non è una che si formalizza.
Per conto mio, da quasi un anno non faccio che sognare le donne, in ogni modo. Ne sono ossessionato e adesso mio cugino fa sembrare tutto così concreto e a portata di mano.
Da questo preciso momento la faccenda diventa il centro del mio universo. Non conta più la famiglia, la scuola, gli amici, il mio asfittico palazzo né il quartiere in cui si trova. Solo questa sconosciuta che non sarà Venere ma che pare sappia fumare e toccare un ragazzo.
Lo convinco a presentarmela. Corro in cucina da mia madre e con una scusa combino di dormire a casa di mio cugino, così avrà tutto il tempo di organizzare un incontro.
La sera stessa, per tutta la cena, non facciamo che scambiarci sguardi d’intesa e ridere nel bicchiere tutte le volte che la zia non fa caso a noi. Nonostante ciò, ho lo stomaco chiuso e non mi sembra vero che domani starò per la prima volta con una donna. Mentre ci prepariamo per andare a letto non penso ad altro.
Mi sdraio sulla brandina che scommetto cigolerà finché non fa giorno. Dormire neanche per sogno, sono troppo eccitato. Ripasso a memoria tutte le cose che dovrò dire e fare quando la incontrerò: ci presenteremo stringendoci la mano? Ci baceremo prima di fare qualsiasi cosa? Dovrei aspettare che prenda lei l’iniziativa? O che mio cugino, in qualità di gran maestro di cerimonia, ci faccia un cenno quando è il momento? Dovrei offrirle una sigaretta per rompere il ghiaccio? Che poi neanche fumo.
In definitiva credo che domani dovrò farmi una doccia accuratissima e saltare la colazione per stare più leggero. Guardo la lucina del mio orologio e sono già le tre del mattino. Tra circa sette ore mi farò toccare, diventerò l’eroe del mio quartiere, terrò dei corsi al bar sull’amore e su come possedere una ragazza.
È così tanto che fisso il buio che riesco quasi a vedere tutti i particolari nella stanza. Sento il respiro pesante di mio cugino e il ronzio del frigorifero che si accende a intervalli regolari. Continuo a immaginare come sarà domani. Magari ci troveremo subito a nostro agio: mio cugino diventerà improvvisamente di troppo e ci lascerà soli perché lui sa quando è il momento giusto. Anzi, no, farà il palo perché non si sa mai.
Ho il lenzuolo tutto intorno alle gambe e il frigo ora si sente appena. Dovrei dormire ma sono già le cinque e se continuo così c’è il rischio che domani faccia cilecca. Provo a pensare ad altro mentre il sole finalmente illumina la camera.
Siamo davanti all’ingresso di questo parco semi bruciato, dove le altalene sono storpie e la gente porta i cani prima che sia troppo caldo. Abbiamo appuntamento con la ragazza alle dieci. L’eccitazione di tutta la notte si sta trasformando in ansia. Non è che voglio rinunciare, ma tutta la faccenda adesso mi sembra così delicata, così irreversibile che, forse, dovremmo rimandare.
Alla fine arriva. Saluta mio cugino e ci diamo la mano, puliti. Si guardano tutti e due intorno per poi accendersi una sigaretta più grande di loro. Lei me ne offre una ma le spiego che non fumo. Ho già perso punti, si vede dalla sua reazione.
Mentre parlano la osservo, le guardo le mani. È un ragazzaccio, avrà un anno meno di me ed è magrissima. Ha la pelle nocciola e i capelli ricci dello stesso colore. Non è proprio bella e c’è qualcosa di strano nel suo viso che non saprei dire. Forse la fronte troppo alta o gli occhi così distanti tra loro. Parla con Massimiliano e intanto mi studia, si allontanano due passi da me e bisbigliano per mezzo minuto.
Quando mio cugino torna fa spallucce come per dire che non è colpa sua. Mi riferisce che non le piaccio: la metto a disagio e non se la sente, magari un’altra volta.
Saluto e li guardo allontanarsi insieme dietro una collinetta del parco, finché non scompaiono del tutto lasciandosi alle spalle appena un po’ di fumo di sigaretta sospeso nell’aria. In questa faccenda dell’amore adesso mio cugino conduce 2 a 0.
Chiamo mia madre per farmi venire a prendere. In macchina non faccio che dormire nonostante il percorso sia breve e la 127 faccia un casino infernale. Pensavo che sarei tornato a casa diverso e invece ci torno proprio come ne ero uscito. Anzi con la certezza che, se voglio fare l’amore, devo cominciare a fumare, oggi stesso.
Apro gli occhi solo alla fine, quando si spegne il motore e capisco che siamo a casa. Guardo il mio palazzo dal finestrino e quasi mi sembra di sentirlo ansimare.
Stefano Scanu
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