nelle altre piscine

Non so che dirti

Due mesi dopo la scomparsa di mia madre mia figlia mi ha svegliato per chiedermi scusa. Io stavo ancora sognando e le ho detto “tesoro è tardi, torna a dormire” ma non lo ha fatto. Mi ha messo le piccole mani fredde sulla faccia e ha detto “no”, e mi ha picchiettato le guance finché il sogno non si è dissolto e io mi sono svegliata.
“Cosa” ho detto, “cosa c’è, eh, cosa” e mia figlia ha detto:
“Sono morta stanotte. Scusa”.
“Tesoro” ho detto, come se ci fosse altro da aggiungere, ma non c’era. Ho messo le mie mani su di lei ed era solida, perché mai non avrebbe dovuto? In piedi nella sua maglietta col riccio, sapeva di latte, come tutti i bambini. L’ho presa in braccio e l’ho sistemata sotto le coperte, e ho detto “tesoro, perché pensi di essere morta?” e lei ha alzato le spalle e ha chiesto se poteva avere una bibita, e se doveva andare a scuola il giorno dopo, adesso che era morta.
“Non sei morta” ho detto a bassa voce, e i miei occhi hanno iniziato a lacrimare come se avessero deciso che la loro tristezza non aveva niente a che fare con me.
“Non so che dirti” ha detto mia figlia, battendo il piede contro la mia gamba. Questa frase gliela ripetevo spesso. Poi, “possiamo accendere la tv?”.
Il giorno seguente siamo rimaste a casa, ma il giorno dopo ho detto, “la vita non si ferma, okay?” e l’ho rimandata a scuola. Poi la scuola mi ha chiamato e mi ha chiesto dove fosse mia figlia. Ho pensato no e poi no ma è venuto fuori che si era nascosta in un bagno perché era morta e non voleva andare in classe. “Sua nonna è appena venuta a mancare” ho detto alla sua insegnante, più tardi, come spiegazione. Ero stanca e indisposta, con l’eyeliner messo per metà. Il rossetto solo sul labbro inferiore.
“Quindi che succede?” le ho chiesto in macchina mentre tornavamo. “Cos’è questa storia? Sei un fantasma? Allora?”
“Sì” ha detto “sono un fantasma”. Poi ha fatto un lungo ooooh che l’ha fatta ridere e allora ho riso anche io, e la cosa l’ha fatta ridere ancora di più. “Che faccio?” ho sussurrato nel panico al telefono quella sera, parlando con mia sorella. Mia figlia è entrata nella stanza con un asciugamano bianco sulla testa.
“Sono i miei capelli da fantasma” ha detto, poi si è messa a ballare sulle note di una pubblicità delle caramelle.
“Che puoi farci” ha risposto mia sorella, e mi ha detto che mi voleva bene, e sì anche io e buonanotte, shabat shalom, ti richiamo domani. “Sì. M… cosa? Sì. Okay. Ciao.”
Quella notte ci siamo arrotolate nelle coperte e ho chiesto a mia figlia quali fossero i suoi colori preferiti. Lei ha elencato tutti quelli che le venivano in mente, toccandosi il naso. “Credi che resterai morta ancora a lungo?” le ho chiesto.
“No” ha detto. “Forse per un giorno. O forse due.”
“Okay” ho detto, e mi sono appoggiata per un momento sui suoi capelli disordinati. Il mio alito sapeva di latte, e lei, ancora bagnata dalla doccia, di ogni ricordo che avessi mai avuto.

Yael van der Wouden

traduzione di Antonio Bosco

 

racconto originale su Cheap Pop

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