3cento

Ritratto di nonna da viva (o della sua cucina)

Per andare da nonna si entrava da una portafinestra. Lei sedeva al suo tavolo, era silenziosa e granitica. Era tutta lì. Era.
C’era uno specchio accanto al portaombrelli tra il mobile e la finestra, era alto e stretto. Nonna non si vedeva tutta, era troppo grassa.
Nell’armadio a destra teneva i biscotti secchi. Erano lì da Pasqua, solo per gli ospiti.
Il telefono stava dietro il cesto del pane. Quando suonava (lo sentiva anche il vicino), lei sollevava la cornetta e aspettava che parlassi. Le foto erano tutte nel cassetto del tavolo. Quante volte me le ha mostrate. Una mi fa molto ridere: è lei al mare, abbraccia una chitarra.
Sopra il tavolo un bicchiere, il suo. Lo si riconosceva, perché sul fondo aveva due dita di calcare. A pranzo non si faceva mai mancare il vino rosso. Ne beveva mezzo bicchiere, mischiato con l’acqua. Apparecchiavo per lei, se me lo chiedeva. Guai se mi dimenticavo di prepararle la mela. Il cioccolato invece, non sapeva neanche che gusto avesse. Diceva che rompeva la sua vecchia dentiera.
Sull’appendiabiti il suo paltò con il bavero di pelo di volpe – ci affondavo le guance. Senza le sue spalle dentro, sembra un altro. Le gioie erano sotto il divano. Aveva dei pendenti che mi sembravano orchidee in miniatura. Sono toccati a mia cugina e glieli invidio molto. Insieme coi piatti c’era una moka con la guarnizione quasi marcia. Me la sono presa io, quando è morta.
Nonna aveva una macchina per cucire. Quando sono tornata, dopo il funerale, non c’era più. Se la sarà portata dietro.

                                                                                                                           Roberta Garavaglia

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