3cento

La calma durante la tempesta

La tempesta arriva. La polvere danza con il vento assieme alla sabbia, sul bagnasciuga. Poi si sollevano le sterpi con i ciottoli delle strade. Infine le fronde degli alberi si sfaldano in stormi di fogliame rosso e arancio autunno.
L’uragano Elliott è vicino. La nostra occasione di fuggirgli si allontana veloce come gli abitanti di questa città. Noi siamo rimasti, perché lo desidera nostro padre: nessun cataclisma al mondo avrebbe convinto nostra madre ad abbandonare la casa di famiglia, spiega a me e a mio fratello.
Giunge la prima pioggia, bussa a porte e finestre con insistenza crescente mentre il nostro respiro è smorzato da un abbraccio paterno sempre più stretto per impedirci di cedere alla volontà di scappare via.
Adesso è il turno della grandine, che prova ad aprirsi un varco verso l’interno con la forza dei propri pugni di ghiaccio, senza risultato; questa casa è stata resa robusta da mani capaci, le mani di nostro padre.
Finalmente il ciclone si abbatte con tutta la sua furia, presentando il conto definitivo della sua rivoluzionaria potenza. Nostro padre dice che questo è il momento di scendere nel seminterrato della casa; non è una fuga, spiega, soltanto un rifugiarci nel grembo cementizio da cui sono nate le mura che ci circondano quotidianamente.
Adesso siamo quaggiù, mentre la dimora natia va in pezzi. Lui non ci permetterà mai più di risalire in superficie, perché ama troppo questa casa e questa famiglia.

Giovanni Ricciardi

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