Abitiamo in collina, in una zona frequentata da molte coppiette. Alcune vengono ad appartarsi lungo il muretto di cinta del nostro giardino, altre preferiscono inoltrarsi più in là, nella boscaglia. C’è una piccola piazzola a ridosso del muretto, una volta l’abbiamo disseminata di chiodi e di cocci di vetro ma non è servito a niente. Evidentemente questi tipi non hanno delle auto normali. “In fin dei conti” dico a mia moglie “sono fuori dalla nostra proprietà, non possiamo farci niente”.
Non dormiamo molto, i dottori dicono che è una cosa normale alla nostra età. Durante la notte ci ritroviamo a parlare dei figli che non abbiamo avuto, degli anni pieni di speranze in cui credevamo non saremmo mai diventati vecchi.
Ci svegliamo alle prime luci dell’alba e scendiamo in giardino. Mia moglie passa in rassegna i suoi fiori ancora tutti coperti di brina, gira intorno alle aiuole con una zappetta in mano. Io vado a pesca. Prendo il mio lungo bastone con il chiodo ricurvo sulla punta e vado a raccogliere i preservativi che le coppiette hanno buttato nel giardino, tra i cipressi nani piantati a ridosso del muro. “Eccoli, i miei bei pesciolini” dico, tutto soddisfatto. “Che schifo” fa mia moglie. “Non ti avvicinare, sta’ lontano.” Noi non li abbiamo mai usati. “Non ce n’era bisogno” ha detto mia moglie una volta. “Non rischiavamo nulla.” Già. Ma all’inizio non lo sapevamo. Eravamo degli incoscienti, questo è il punto. “Sta’ lontano” continua a dire. “Qualcuno deve pur prenderli” dico io. Li porto così, appesi al bastone, fino al bidone dell’immondizia.
Mario Greco
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