Tuffi liberi

L’integrazione dell’ombra

Appoggi il borsone sull’erba, fai un respiro profondo che brucia i polmoni, e ti prendi il tempo di alzare gli occhi sul pesante cancello dell’eremo.
Osservandolo da vicino riconosci negli arabeschi scolpiti rappresentazioni di scene bibliche. Noti le imperfezioni del tratto, il palesarsi della traccia umana, dell’opera analogica e, se avvicini il viso alle scene di umiliazione, è solo per cercare di ricordare perché chiudersi per trenta giorni in quest’oasi di penitenza potrebbe esserti utile.
Quando Frate Lorenzo viene a prenderti ancora non capisci, ma inoltrandovi lungo il selciato, verso il parco e i chiostri, inizi a intuire: la luce del signore che riverbera attraverso il carminio e l’ocra delle foglie, la nube che ti avvolge nel respiro santo di tutto ciò che tace.
Frate Lorenzo ti accompagna al primo piano della foresteria. Ti spiega le poche regole da rispettare. E ricordi. Quando chiede di consegnare il telefono, come da regolamento, ricordi.
Fai scivolare un piccolo Nokia nella sua mano. Potrai riaverlo alla fine del ritiro di silenzio. Prima di sparire, ti consegna il foglio con le orazioni obbligatorie.

6:00 – Ufficio delle letture
7:30 – Lodi
12:40 – Ora media
18:30 – Vespri

Attendi l’ora media. La camera che ti hanno dato è piccola, odora di legno. Il bagno è freddo, ma ha una finestrella verticale dalla quale si scorge il parco immenso del monastero. Tutto è silenzioso.
Siedi alla scrivania ed estrai i quaderni, i manuali per l’esame di microeconomia del mese prossimo. Poi, per ultimo, l’iPhone. Un oggetto perfetto. Quando lo sblocchi, la prima cosa che cerchi sono le notifiche di The Shadow. Senti il sangue irrorarti la testa.
Ti guardi intorno, circospetto. Avvolto dalla luce della grazia, scosti i libri e inizi la prima partita della giornata. Stai barando, e lo sai.

Alle orazioni di mezzogiorno ci arrivi affannato, distratto. Quando entri nella cappella umida i monaci e i pochi altri forestieri sono già seduti sulle panche. Qualcuno ti fa un cenno e indica un posto che devi raggiungere sfilando davanti all’altare. Ti fai un segno della croce nervoso.
Una volta iniziata la messa copi sapientemente i riti degli altri. Ti alzi, ti siedi, mimi con le labbra le parole dei salmi. Guardi la tasca dei jeans dove hai dimenticato l’iPhone luccicante, di cui spunta un angolino nero. Ti mancano solo duecento coins per sbloccare la pietra nera. Per distrarti fissi il tabernacolo fino a quando gli occhi non s’incrociano e bruciano, e la messa finisce.

Il primo pomeriggio in camera hai già spostato i libri dalla scrivania al pavimento. Le dita si agitano sullo schermo. Il silenzio del monastero ti permette una concentrazione superiore.
Quando finisci la sessione di gioco sono le 19:20. Hai perso la messa dei vespri. Ti alzi di scatto e corri fuori, raggiungi la cappella attraverso il parco, e ti nascondi. Stanno tutti uscendo. Valuti se valga la pena andare lì e scusarsi ma ricordi che no, non puoi parlare. Hai perso.

La mattina successiva ti fanno pulire la sala grande, poi ordinare i tomi della biblioteca. Quando ti scivolano accanto, i monaci scostano lo sguardo. Alcuni pomeriggi ti fai vedere mentre fingi di studiare, ma la tua vita è altrove. Loro lo sentono, ma non riescono a capire dove.
Sei immerso nel riflesso dello spirito santo, che rimbalza da ogni parte come le onde dei router di tutto il mondo si spargono attraverso le antenne.
Esistono molti modi per pregare.

Ogni notte giochi. Lo fai come mai prima d’ora. Hai guadagnato coins con una rapidità magistrale. Negli ultimi dieci giorni hai aumentato il tuo livello da 152 a 226. Di tanto in tanto ti chiedi come mai i livelli non si potessero fermare al 100, e quando finirà tutto questo. Poi passa, non domandi più.
Se dormi ti stravolgono incubi terribili di dannazione. Ogni mattina, alle 5:30, ti scuoti dal sonno e ti unisci alla processione dei confratelli verso la cappella, dove canti i salmi con un fervore e uno spavento negli occhi che fanno voltare gli altri monaci.
Durante il resto della giornata lavori sapientemente e con attenzione.

Col passare dei giorni ti danno compiti peggiori. Stanno cercando di piegarti.
Oggi pulisci la merda degli animali. Ritto accanto al secchio, lavori ma non sei qui. Pensi alla pietra lunare e a come possa essere integrata nel tuo schema di gioco. Il livello 300 è vicino.
Quando hai finito, dopo due ore, scruti al limitare del bosco due monaci. Immobili. Ti spiano. Li saluti e li guardi arrancare verso di te, porgerti una borraccia d’acqua. Sostieni il loro sguardo pietoso, mentre sussurri che non ti serve niente, e che devi tornare a pregare.
Restituisci la borraccia, ti volti e torni nella tua tana passando per la natura che ti guarda sorridere, assertiva. Alle tue spalle potresti giurare di aver sentito uno dei due sussurrare la parola: “Santo”.

Anche l’ultima notte ti dedichi al tuo rito ascetico. Lo schermo capacitivo sprigiona colori glaciali a intermittenza. I polpastrelli hanno sviluppato dei calli sottili. Non senti altra colpa se non quella di non essere abbastanza bravo nel gioco, abbastanza devoto nella preghiera. Preghi e lavori. Vivi nella doppia luce di Dio e della batteria al litio.

Quando ti addormenti febbrile, la notte prima di ripartire, con la guancia sul tavolo, la testa che esplode, mi insinuo nei tuoi sogni; ti guardo negli occhi per vedere la faccia di un asceta e poi guardo lo schermo, per vedere se hai finito. Non ci sei nemmeno vicino.
Però sembri felice. Finalmente parli con me, parli col tuo Dio.
Io e te, soli nella quiete del sogno, giochiamo.

Federico Armani

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