Il Centro internazionale di studi Primo Levi promuove le Lezioni Primo Levi. Vengono presentate a Torino, una all’anno, e ciascuna è incentrata su un tema legato agli interessi di Levi, per imparare a leggere le sue opere.
I libri delle Lezioni Primo Levi sono pubblicati da Einaudi in doppia lingua, inglese e italiano.
Una telefonata con Primo Levi ha 198 pagine, suddivise in tre parti: la lezione vera e propria, una parte intitolata Incontri con Primo Levi e un’appendice finale.

Il tempo per Primo Levi è un senso soggettivo. Pensiamo a Calore vorticoso, in cui il tempo sembra invertirsi, e al palindromo bilingue “In arts it is repose to life: è filo teso per siti strani”, in cui l’arte è di riposo alla vita. Pensiamo a Scacco al tempo, in cui il “paracrono” consente di intervenire sul senso del tempo.
Così la scrittura lo riporta indietro e ricostruisce la sua esperienza: dopo Auschwitz Levi ha qualcosa da scrivere (“Per scrivere, bisogna avere qualcosa da scrivere”, consiglierà Levi a un giovane aspirante scrittore). Il Lager ha liberato lo scrittore potenziale che era in Levi, gli ha fornito la Mater-materia da raccontare. Successivamente includerà altri territori: la chimica, la fantatecnologia, e la letteratura stessa come oggetto di scrittura. Ricordiamo Il Versificatore, in cui un poeta scrive servendosi di un macchinario che compone poesie.
L’esperienza come materia prima ritorna sia nella scrittura che nella chimica. È utile, sia al chimico che allo scrittore, saper “separare, pesare e distinguere”. Questi verbi, così come altri termini, hanno per il chimico un significato più concreto ed esteso, sia operativo che simbolico. Tutto a vantaggio della chiarezza: chiarezza e concisione, Levi le ha importate dal linguaggio scientifico e ne ha fatto l’imperativo della sua scrittura. Ciò che mina la chiarezza leviana è l’abitudine dell’autore alle citazioni, non sempre segnalate. Nei suoi testi si ritrova Rabelais e, soprattutto, Dante. Tra le citazioni di origine dantesca, per esempio, “passione impressa”, “levi” aggettivo e verbo, diversi “percuotere” e la “memoria dell’offesa”.
Se il libro Se questo è un uomo nasce come racconto orale (il reduce è un “narratore infaticabile”) col tempo si cristallizza in una forma definitiva. Con le riduzioni radiofoniche e teatrali torna a essere racconto orale: la radio è uno strumento “estremamente sottile” che privilegia la dimensione acustica, a teatro invece il pubblico è vicino e oltre ad ascoltare vede. Il telefono rappresenta la versione privata della radio. La poesia Shemà si apre come una telefonata: “Ascolta: Voi che vivete sicuri…”; Levi si rivolge al lettore, lo sente vicino. La questione della comunicazione è centrale in Levi.
Il suo terzo mestiere è, infatti, quello di oratore: Levi incontra spesso il suo pubblico, parla specialmente coi ragazzi nelle scuole. Scrivere, per via dell’incorporeità dell’uditorio, è un’attività da un lato più difficile, dall’altro più rassicurante. Il telefono sta a metà tra la scrittura solitaria e la conversazione in praesentia. A fin di bene parla proprio della Rete telefonica, una rete che agisce spontaneamente, nonostante la volontà dei suoi ingegneri.
Accanto al telefono un’altra tecnologia a servizio della comunicazione è il computer. Verso quest’ultimo Levi nutre maggiore diffidenza, la sua razionalità non arriva a comprenderne i manuali tecnici. Eppure, anche nel linguaggio c’è qualcosa di ignoto e insensato per cui Levi prova un certo divertito interesse. Pensiamo alla maledizione di babele, all’etimologia, agli anagrammi, ai palindromi e alla crittografia. La lingua è il mezzo con cui si esprime l’uomo, è parte della sua umanità. Levi presenta i suoi personaggi dicendo quali e quante lingue parlano. A volte fa parlare gli animali, le macchine, anche un foglio bianco. Ma anche i silenzi comunicano. Le ragioni dei silenzi di Levi sono la reticenza, il pudore, o la poetica. Il limite del linguaggio, in nome della comunicazione, va forzato, a volte è utile denunciarne l’ineffabilità. Levi ha saputo narrare l’inimmaginabile. Per dirlo con l’anagramma del suo nome, si è confrontato con L’Impervio, ovvero – scrive Bartezzaghi – “il sentiero che gira attorno al monte delle cose che non sono state ancora dette, e che è però umano ostinarsi a voler esprimere e comunicare”.
Telefono è la parola chiave della prima parte. Una telefonata con Primo Levi nasce da una frase pronunciata da Levi durante una conversazione radiofonica: “Deve essere un telefono che funziona, il libro scritto”. La parola che tiene insieme i testi della seconda parte è invece dmura, dal piemontese “balocco” o “trastullo”. Vale sia per il Levi dilettante (chi fa qualcosa non per mestiere, non per vivere, ma per diletto), che per Stefano Bartezzaghi, che in questi capitoli ricostruisce relazioni tra Levi e Giampaolo Dossena, Calvino e Queneau, e inventa un incontro tra Levi e David Foster Wallace.
La breve appendice finale si intitola Primo Levi, ancora ed è l’analisi della risposta di Levi a un’inchiesta di “Stampa Sera” sulla vecchiaia: chiaro e conciso con colpi retorici di scena e un finale paradossale.
Roberta Garavaglia