3cento

L’ora di nuoto

Nuotare è come fare pace con tutti, perfino con mamma.
Fare il morto e immaginare di essere morta davvero, e che quel cullare sia il paradiso. Smettere di respirare e continuare a muoversi sott’acqua, braccia e gambe in tutte le direzioni.
Se la casa fosse una sensazione sarebbe questa, se fosse uno stato sarebbe liquido, un colore trasparente.
Potrei andare in piscina nonostante la febbre. Che poi è solo stanchezza, passerà dopo il panino al prosciutto, sono sicura. Però mamma ha deciso: sei troppo piccola per scegliere da te, in piscina non ci vai più. Come lo scorso novembre, tornai una volta con la febbre e smisi di andarci per il resto dell’anno scolastico.
Che ne sa lei. Non mi chiede mai cosa vorrei fare io, cosa mi piace. Neanche se lo chiede. Non ricordo quando abbiamo cominciato a non capirci più. A volte ci urliamo addosso. E mi sembra che molta parte della sua rabbia abbia a che fare col nuoto, o coi suoi lavori saltuari, o con papà.
Oh, tuffarsi e dimenticare. Il cloro lava via tutti i pensieri e le fatiche.
Ho sognato che indossavo un costume blu trapunto di piccole lune dorate. A papà piacerebbe, sono sicura. Mi darebbe anche dei buffetti sulle lentiggini per complimentarsi per quanto sono cresciuta.
Il nuoto fa bene, mi diceva ogni volta che mi accompagnava. Lo so, lo so.
Se andassi in piscina, nonostante la febbre, per tutta l’ora di nuoto mi sentirei sana come un pesce.
Sana come uno di quei pesci argentati che pescava papà la domenica mattina. Più sana di quando siedo al banco, a scuola, o sul divano di casa a guardare le telenovelas con mamma fingendoci amiche. Mentre prego di non assomigliarle neanche un po’.

Roberta Garavaglia

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