nelle altre piscine

Rosso, arancio

Dieci case fiancheggiavano i marciapiedi alla fine di Bennett Street, la bambina le contò da dietro la porta a zanzariera. Le piaceva contarle. Cinque sul lato sinistro e cinque sul destro. Le piaceva la casa nel lotto di fronte al suo. Aveva una porta rossa. Il rosso si stava scrostando a pezzetti, mostrando il legno sotto. A volte la bambina trovava una scheggia di vernice sulla strada o sul marciapiede quando camminava per l’isolato. Avrebbe voluto sedersi sui gradini di cemento di quella casa e grattare via la vernice rimanente. La sua porta era bianca e liscia. Ma la sua casa si trovava sul lato della strada accanto ai binari, e questo le piaceva di più.
La bambina sollevò il viso dalla zanzariera e corse alla porta sul retro.
“Il treno è qui! Treno!” disse. Non si stancava mai di dirlo. Le piaceva la potenza della “t” sul bordo dei suoi denti.
Il treno arrivò e la casa tremò e la bambina finse che ci fosse un terremoto.
Il treno passava per Bennett Street tre volte al giorno e tre volte a notte. Era un piccolo treno con due sole carrozze, entrambe per passeggeri, dal momento che non c’era più esigenza di carbone, legname o acciaio. La città era stata costruita, e gli abitanti si erano stanziati per molti anni intorno ai binari. I finestrini del treno erano oscurati ora. Le rocce bianche che sostenevano i binari di ferro erano diventate grigie, poi nere. Trasportava gli odori della città viaggiando avanti e indietro dalla periferia. In estate, il treno strappava via l’erba secca e portava con sé vento caldo.
La bambina aprì la porta sul retro mentre il treno accelerava. Una recinzione a catena separava la casa della bambina dai binari, estendendosi su Bennett Street e sulle altre strade. Andò a cercare i tesori del mattino su e giù per il cortile sul retro. Quando il treno passava, immondizia e foglie si impigliavano nella recinzione e nelle viti morte aggrovigliate intorno alle catene. La bambina pulì la sua parte di recinzione. La pulì dalle fascette delle bottiglie e dalle buste di plastica. Raccolse il coupon di un giornale e provò a leggerlo. Una volta, una pallina da tennis, ormai senza lanugine, si trovava dall’altra parte della recinzione, e lei aveva scavato la terra per afferrarla. Ci aveva giocato finché non ruppe il vaso di sua madre sul tavolo del soggiorno.
Restò fuori finché non sentì troppo caldo sulla pelle e la terra non si incrostò sulle sue gambe. Passò l’intera mattinata cercando tesori e non ne trovò nessuno. Aveva fame. Fece il giro della casa e arrivò sul cortile davanti. Suo padre era seduto sul marciapiede di cemento con le gambe incrociate. Un libro si trovava nello spazio tra le sue cosce. L’ombra della quercia si insinuava sulla sua schiena.
La bambina guardò i capelli di suo padre alla luce del sole. Erano molto castani. Le piaceva quanto i capelli di suo padre fossero simili ai suoi. Le piaceva quanto fossero scuri. Le piaceva intrecciare i suoi capelli quando il cielo era così scuro che non poteva vederli. Le piaceva far roteare le ciocche e avvolgerle intorno alla sua fronte. Sua madre glieli lavava ogni tre giorni. Poi glieli asciugava con l’asciugacapelli; alla bambina piaceva il calore sulle orecchie.
“Papà?”
“Sì?”
“Possiamo andare sull’altalena oggi?” chiese la bambina.
“Non oggi” disse suo padre.
“Possiamo andarci domani?”
“Forse.”
La bambina restò dietro di lui e guardò la sua schiena. Il padre fece un respiro, e lei guardò la curva del suo dorso. Il vento sfogliò le pagine del libro.
“Papà, il treno sta arrivando, vero?”
“Già.”
“Quando arriva?”
“A mezzogiorno, tra cinque minuti.”
Il padre della bambina sfogliò una pagina del libro. Era molto spesso.
“Papà, dov’è la mamma?” chiese la bambina.
“In macchina” disse lui.
“Dove?”
“Per strada.”
“Perché è in macchina?”
“Perché adesso vuole stare in macchina.”
“Voglio andarci” disse la bambina.
“Oh, beh, sta andando in un posto noioso” disse suo padre.
“Come il supermercato?”
“Sì, molto simile al supermercato.”
“Ma lei mi ci porta sempre. Lei mi ci porta e compriamo le arance e le patatine” disse la bambina.
Il padre della bambina spostò il libro dalle sue gambe. La bambina si inginocchiò accanto a lui e toccò il cemento con le ginocchia. Era rovente, ma lei premette più forte. Voleva sapere perché sua madre se n’era andata senza di lei. Era sabato. Suo padre si alzò e le mise la mano destra sulla spalla, tirandola su. Il palmo avvolgeva l’osso della spalla di lei.
“Andiamo” disse lui.
“Dentro, papà?”
“Dentro.”
“Pranziamo?” chiese la bambina mentre passava oltre la porta a zanzariera.
“Sì. Cosa vuoi?”
“Arance” rispose la bambina.
“Non ce ne sono più” disse suo padre. Andò in cucina e aprì il cassetto dei coltelli. Mise del pane bianco sul bancone.
“La mamma ne porterà qualcuna” disse la bambina.
Il padre della bambina aprì il pane e tirò fuori del burro d’arachidi. I suoi capelli erano neri adesso senza la luce del sole.
“No, non credo che vendano più arance al negozio.”
Il ding-ding-ding-ding del passaggio a livello risuonò debole tra le mura della casa. Il passaggio era a soli quattrocento metri da loro. Tuttavia la bambina non riusciva mai a vederlo, perché le altre case marroni le coprivano la vista. Poteva immaginare le luci lampeggianti e le sbarre che si abbassavano. L’aveva visto molte volte quando sua madre lo attraversava in macchina.
“Ecco a te” disse il padre della bambina.
La bambina prese il sandwich e cominciò a camminare verso la porta sul retro.
“No” disse lui. “Siediti a tavola, per favore. Non c’è bisogno che guardi il treno tutte le volte.”
La bambina si sedette e mangiò il sandwich e restò lì anche mentre il treno passava. Il burro d’arachidi era pastoso in bocca. Sentì un capello incastrato tra i denti, e lo tirò via. Si passò la lingua sui denti e leccò lo sporco rimasto sui polpastrelli.

Emily Varnell

traduzione di Antonio Bosco

 

racconto originale su The Blue Route

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