Vanni Santoni è giornalista, scrittore e editor. Dirige la narrativa di Tunué e, tra i suoi libri, ricordiamo Personaggi precari (Voland), Muro di casse (Laterza), La stanza profonda (Laterza) e L’impero del sogno, uscito quest’anno per Mondadori.
Lo abbiamo intervistato a proposito della “parola con la r”: il racconto.
Quando si cerca di individuare i motivi per cui i racconti in Italia sono considerati marginali si punta sempre il dito contro il lettore medio e, soprattutto, contro le case editrici che trovano qualsiasi escamotage per non scrivere la “parola con la r” su risvolti e quarte. Ma è anche vero che più spesso è lo stesso scrittore a creare pregiudizi sui racconti. In veste di editor e di scrittore, cosa ne pensi?
Ho effettuato un’analisi specifica in questo senso, intervistando vari direttori editoriali: la si può leggere qui. Credo, anche alla luce di quanto emerso, che il pregiudizio sia anzitutto editoriale.
Se prendiamo come campione questi ultimi anni possiamo osservare che, almeno in parte, c’è stato un riscatto per i racconti. Quest’anno il Premio Campiello opera prima a una raccolta, la nascita della casa editrice Racconti Edizioni, il Premio Strega vinto da uno scrittore che nasce come scrittore di racconti… credi che questi possano essere i primi segnali di un futuro cambiamento?
È vero che ultimamente in Italia ci sono stati segnali incoraggianti, citerei anche il buon successo dell’ultimo libro di Ricci, I difetti fondamentali, uscito per una major come Rizzoli. Un passo importante potrebbe essere il cominciare a vedere racconti non solo sulle riviste letterarie ma anche su magazine, settimanali e quotidiani.
Molti autori pubblicati hanno cominciato scrivendo racconti su riviste e blog e, in generale, sempre di più lo scouting riserva una particolare attenzione agli esordienti che pubblicano su riviste online e cartacee. Ma quanto incide questo sulla svalutazione del racconto? Non si corre il rischio di far passare all’esordiente, che vuole a tutti i costi essere notato, il messaggio che il racconto sia solo un tramite? E che poi possa essere abbandonato per qualcosa di più “importante”?
È normale che chi comincia a scrivere cominci coi racconti. Non tanto perché più facili – a parità di pagine, scrivere una buona raccolta è difficile quanto e più dello scrivere un romanzo – ma perché più brevi e quindi meno proni a terrorizzare. Del resto tu puoi non scrivere una raccolta, ma un solo racconto, o un paio, e non avrai la sensazione di aver fatto il lavoro a mezzo. Questo credo prescinda dal pregiudizio editoriale. La strada che poi prende il singolo scrittore dipende da lui, molti autori erano destinati a essere romanzieri e sono passati dal racconto per le ragioni succitate, a cui si aggiunge appunto la possibilità di essere pubblicati su riviste, un obiettivo più abbordabile della pubblicazione in volume per un editore serio. Altri, invece, si scoprono “raccontisti” e vanno in quella direzione. Credo però sia vero che, se i racconti godessero di maggior attenzione editoriale, di raccontisti ce ne sarebbero di più.
Per riprendere la prima domanda, oltre a case editrici, lettori e scrittori, quanto influiscono sul panorama editoriale italiano i premi letterari? Penso al Calvino che ogni anno segnala molte opere che poi, effettivamente, raggiungono la pubblicazione. Ma tra queste qual è la percentuale di raccolte di racconti?
Hanno la stessa influenza realtà specifiche per racconti, come 8×8?
Ci sono pochi premi che hanno un peso reale oggi in Italia, sia nel campo degli esordi, dove il Calvino è l’unico che può dare garanzie effettive di pubblicazione, sia in quello dei premi per autori editi, dove solo lo Strega e il Campiello hanno un effetto deciso sulle vendite (benché molti altri siano comunque utili perché portano il libro a essere letto da platee qualificate). I racconti, del resto, hanno il loro premio, il Chiara, ma il fatto che raramente si vedano raccolte agli altri premi letterari deriva probabilmente dal fatto che ne vengono scritte e pubblicate meno – proprio perché esiste il pregiudizio di cui sopra.
Abbiamo parlato dell’Italia. Secondo te nel resto del mondo le cose sono diverse? E, se così fosse, quale pensi potrebbe essere il motivo?
Conosco molti scrittori esteri e negli altri paesi è la stessa cosa. Cambia un po’ nel mondo anglosassone, dove i racconti trovano ancora spazio in riviste importanti e quindi una maggior attenzione editoriale, ma anche lì capita spesso che raccontisti anche eccellenti passino poi al romanzo in cerca di maggiori riscontri editoriali, di pubblico e critici.
La redazione
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